Economia Circolare

Cosa significa davvero essere Plastic-free?

Cosa si intende con "Plastic-free" e perché oggi viene così tanto utilizzato questo termine? La plastica è un elemento da demonizzare o piuttosto da gestire al meglio? Scopriamolo assieme nell'approfondimento della settimana

Francesco Marica

Francesco Marica

Consulente Ambientale

cosa significa plastic-free

Indice

  1. Premessa
  2. Non demonizziamo la plastica
  3. Quale plastica va sostituita?
  4. Cosa significa essere Plastic-free
  5. Il caso britannico
  6. Conclusioni

Premessa

Cosa significa essere Plastic-free? Scopriamo in pochi punti la vera natura di questo slogan. Ciò che sembra scontato nasconde una realtà più complessa che è bene scoprire per riconoscere azioni veramente efficaci e distinguerle dal greenwashing.

La plastica è senza dubbio il materiale ad oggi più presente tra gli inquinanti delle acque e di altri ecosistemi. Il fatto che questo materiale sia derivato dal petrolio non fa altro che aumentarne la cattiva fama. D’altro canto, le sue caratteristiche le hanno permesso di essere utilizzata in diversi ambiti, contribuendo al miglioramento della qualità della vita. Si pensi alle applicazioni in ambito sanitario, logistico e alimentare. In questi settori si sono raggiunti con l’ausilio della plastica miglioramenti delle condizioni igieniche, di conservazione e di trasporto.

Detto questo, oggi nei mari e negli oceani si trova davvero di tutto e anche rifiuti ingombranti. E’ però innegabile che il numero di oggetti e imballaggi monouso sia spropositato. Eliminare la plastica per combattere l’inquinamento sembra essere diventata la parola d’ordine.

Ma tutti gli oggetti in plastica? La plastica è sempre da sostituire? La risposta è no. Ma vediamo insieme perché.

Non demonizziamo la plastica

Esiste plastica che per ora non si può sostituire ed altra per la quale non c’è la necessità di farlo. I motivi sono essenzialmente due:

Il primo è che la plastica per molti dei suoi usi non è ancora sostituibile in quanto non ci sono materiali in grado di garantire le sue prestazione riguardo a flessibilità e igiene. Un caso esemplare è quello sollevato a proposito delle cannucce. Queste fanno parte degli oggetti vietati dal 2021 dalla Direttiva europea sulla plastica monouso. L’alternativa riutilizzabile è costituita da quelle in acciaio che però, è stato fatto notare, non possono essere utilizzate dalle persone disabili. Per loro è già pronta una deroga. Rimanendo in ambito sanitario è chiara la insostituibilità dei presidi medici, ma non è questa l’obiettivo del Plastic-free e nemmeno della Direttiva.

Il secondo motivo è che esistono moltissimi oggetti in plastica che non sono monouso utilizzati per periodi molto lunghi. Si sta parlando per esempio di forniture per ufficio e arredi. Questi non possono essere nel mirino del Plastic-free in quanto l’impatto ambientale relativo alla loro produzione è spalmato sui lunghi tempi e i molteplici usi e quindi in questo caso la scelta della plastica è paragonabile a quella di un qualsiasi altro materiale durevole.

Quale plastica va sostituita?

Dov’è che invece la plastica è da sostituire o eliminare è dove il suo utilizzo monouso è dannoso e sono presenti alternative davvero sostenibili. Queste riguardano innanzitutto le abitudini dei consumatori che devono virare per oggetti riutilizzabili e solo come opzione secondaria la sostituzione con altri monouso in materiali sostenibili.

Sono molte e stanno aumentando ad oggi le realtà, aziendali e non, che hanno adottato progetti Plastic-free volti alla riduzione o eliminazione dell’uso della plastica. Tendenza iniziata all’estero ed in particolare nel mondo anglosassone ha recentemente preso piede anche in Italia. Tra le misure più gettonate vi è la sostituzione degli oggetti in plastica con le alternative biodegradabili e compostabili, oppure il ricorso all’acquisto delle borracce in alluminio o acciaio riutilizzabili.

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Ad oggi la reale sostenibilità delle soluzioni compostabili è un tema dibattuto ed è meglio avere una riserva nei loro confronti. Innanzitutto la loro produzione ha un impatto in emissioni di CO2 per ora superiore rispetto quello delle plastiche di origine fossile, che godono di processi produttivi sicuramente più ottimizzati. Inoltre sembrano avere problemi riguardanti lo smaltimento visto che tendono a non assimilarsi bene nel compost e nel digestato.  A questo proposito, giunge in aiuto un Rapporto delle Nazioni Unite che mette in guardia i cittadini da interpretazioni errate sull’argomento plastiche alternative e inquinamento marino.

Cosa significa essere Plastic-free

Ciò che quindi può derivare da un errata interpretazione del Plastic-free può portare a soluzioni addirittura più dannose delle precedenti o a demonizzare la plastica come materiale in toto. Ciò sembra proprio quello che sta accadendo ora. Essere Plastic-free significa rinunciare agli oggetti monouso in plastica laddove esistano sul mercato alternative riutilizzabili che consentano di mantenere le necessità di igiene, conservazione e integrità.

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Un discorso più approfondito meriterebbe invece l’utilizzo della plastica negli imballaggi di confezionamento e spedizioni utilizzati dalle aziende. Eliminare la plastica dai processi produttivi non è inquadrabile nel concetto di Plastic-free in quanto appartiene a quello vero e proprio di eco-design, la ri-progettazione dei prodotti al fine di mantenerne o migliorarne le prestazioni ma abbassandone l’impatto ambientale riguardante l’intero ciclo di vita.

Il caso britannico sul Plastic-free

Risale al giugno 2018 la notizia della prima cittadina ad aver ricevuto il riconoscimento di Plastic-free nel Regno Unito, trattasi di Chepstow situata sulla costa gallese. A conferire questo riconoscimento l’organizzazione benefica per la conservazione marina Surfers Against Sewage che negli ultimi anni ha rivolto la propria attenzione all’inquinamento da plastica negli oceani. Ma perché scrivere di questa piccola realtà soprattutto ora che il Regno Unito è uscito dall’Unione Europea? Perché è forse l’esempio più chiaro di come l’emergenza dovuta alla presenza di plastica negli ecosistemi sia finita per demonizzare un materiale piuttosto che la sua impropria declinazione a determinati usi.

La vicenda inizia quando il municipio di Chepstow ha chiesto all’organizzazione benefica di appoggiare pubblicamente la propria iniziativa di ritiro di tutti gli oggetti monouso in plastica da tutti i locali pubblici del paese. Questa iniziativa prese il nome di “Plastic-free Market“. Il Comune, una volta ottenuto l’appoggio dell’associazione benefica, ha pensato di apporre sulla porta all’ingresso del paese un banner di benvenuto in…plastica. Da qui si sono scatenate le critiche e i commenti sarcastici ai quali il Comune ha risposto producendo un nuovo manifesto in canvas ottenuto da stralci di seconda mano. Purtroppo questo gesto, teso a rimediare il danno d’immagine, ha portato al conseguente problema che questo telo si può utilizzare solo in assenza di pioggia, cosa che in Galles difficilmente capita.

La vicenda rimane emblematica: il banner non è un oggetto monouso e in questo caso la plastica offre caratteristiche che altri materiali non detengono. Questo striscione doveva potersi arrotolare, essere flessibile, resistere a vento, pioggia e salsedine mantenendo le scritte leggibili e durare anni senza deteriorarsi.

Conclusioni

Per non fare la fine del Sindaco di Chepstow è bene essere informati su ciò che vuol dire essere Plastic-free e ciò che non lo è. E’ necessario un approccio professionale e con una formazione specifica sul tema, soprattutto se ciò è propedeutico all’implementazione di un progetto per la propria organizzazione.

In questo, Sfridoo, la start-up italiana dell’Economia Circolare, ti può aiutare con le proprie esperienza e competenza. E’ già disponibile la prima e unica Guida Plastic-free per uffici in Italia, con la quale in completa autonomia puoi eliminare la plastica monouso.

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Consulente Ambientale

Appassionato di gestione ambientale ho voluto farla diventare la mia professione.

Articolo aggiornato il 21/03/2024